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di Céline Mouzon

(Pubblicato originariamente da Alternatives Economiques il 15 dicembre 2022).

Mentre i movimenti sociali prendono sempre più in considerazione la natura intersezionale dell’oppressione e della discriminazione, l’azione pubblica in Francia rimane poco attrezzata per affrontarla. Si basa sulla buona volontà di alcuni dipartimenti e di qualche eletto o eletta.

A Parigi, l’associazione femminista queer Gras Politique si batte contro le discriminazioni subite dalle persone grasse in particolare nel sistema sanitario. A Bagnolet, il Front des mères (Fronte delle madri) intreccia le richieste ecologiche per l’accesso a cibo sano nelle mense scolastiche, la lotta contro l’islamofobia e la presa in considerazione della voce delle madri dei quartieri popolari, che portino il velo o meno. A Lione, l’associazione La Marginale difende i diritti delle persone “handiqueer”, disabili e queer. Sono molti i collettivi e le associazioni che, spesso su scala locale, si stanno mobilitando per lottare contro la complessità delle relazioni di dominio, cioè tenendo conto dell’intreccio di diverse dimensioni. Cosa può fare dal canto suo l’azione pubblica?

A Villeurbanne, a nord-est di Lione, Marie-Christine Cerrato-Debenedetti, sociologa e direttrice della missione antidiscriminazione, lavora su questi temi da circa vent’anni, con il sostegno dei e delle rappresentanti eletti/e. Come afferma Cerrato-Debenedetti:

“L’intersezionalità consiste nel comprendere un problema dai margini. L’intersezionalità non può quindi essere presa in considerazione senza la mobilitazione delle persone direttamente interessate. E nell’azione pubblica siamo ben lontani da questo”.

Piuttosto che rischiare di allontanarsi da un concetto forgiato da teoriche e attiviste afro-femministe, preferisce parlare di “discriminazione intrecciata”, mantenendo un forte ancoraggio alla discriminazione razziale.

Villeurbanne, una città pioniera

Dalla fine degli anni 2000, la città ha creato una rete di professionisti/e impegnati/e nella prevenzione e nella lotta alla discriminazione. “Villeurbanne si distingue per un approccio molto proattivo, affidandosi a una rete di strutture che, come le missioni locali, svolgono il ruolo di intermediari tra gli utenti e i servizi (locatori sociali, aziende, ecc.)”, spiega il ricercatore Thomas Kirszbaum. In questo approccio di “lotta alla coproduzione della discriminazione”, le strutture della rete lavorano in modo molto operativo sui casi di discriminazione di cui sono a conoscenza, impegnandosi a loro volta a non produrne.

Tra le azioni recenti, la città ha lavorato sull’orientamento scolastico, “un tema che, a parte quello della polizia, si ripresenta sempre nei colloqui con le persone immigrate o discendenti di immigrati/e”, spiega Marie-Christine Cerrato-Debenedetti. A livello scolastico, il tasso di orientamento dei ragazzi di origine subsahariana verso i corsi professionali è cinque volte superiore a quello della popolazione maggioritaria. “Questo orientamento, quando non viene scelto, aumenta il rischio di uscire senza un diploma e di essere poi discriminati sul lavoro”, spiega il direttore.

Discriminazione intersezionale: cos’è?

La discriminazione consiste nel trattare una persona in modo sfavorevole sulla base di criteri vietati. È una violazione dell’uguaglianza. Per essere riconosciuta dalla legge, deve basarsi su un criterio definito dalla legge e riguardare una situazione coperta dalla legge (accesso al lavoro, a un servizio, a un alloggio, ecc.). La legge francese elenca 25 criteri di discriminazione (sesso, età, disabilità, orientamento sessuale, attività sindacale, gravidanza, ecc.) A partire dalle direttive europee del 2000 e del 2002, si distingue tra discriminazione diretta e indiretta. La prima è più ovvia. La seconda si verifica quando l’applicazione di una norma apparentemente neutra porta a un trattamento sfavorevole di una persona o di un gruppo di persone. Ad esempio, riservare un bonus ai dipendenti a tempo pieno, mentre i dipendenti part-time sono prevalentemente donne.

L’intersezionalità è un’epistemologia, una teoria e un’azione politica e militante. Concettualizzata dalle femministe afroamericane (Kimberlé Crenshaw, Patricia Hill Collins, Ange-Marie Hancock), consiste nel cogliere la complessità della realtà sociale a partire da esperienze sensibili e punti di vista situati. L’esperienza del patriarcato non è quindi la stessa per le donne bianche della classe media o operaia, per le donne universitarie nere, per le donne senza documenti (sans papiers), ecc. Sebbene la sua concettualizzazione risalga agli anni ’80, l’approccio risale al XIX secolo negli Stati Uniti. Lo testimonia il discorso di Sojourner Truth, ex schiava, femminista e oratrice contro la schiavitù, “Non sono forse una donna?” [Ain’t I a woman?].

Attenzione, però: “L’intersezionalità non promuove le identità, ma cerca di rivelare come le categorie assegnate, cioè il modo in cui le società pensano ai gruppi sociali, abbiano un impatto sulla condizione sociale di questi gruppi in termini di istruzione, occupazione, salute, ecc.”, spiega la ricercatrice Nouria Ouali. L’intersezionalità mette in discussione soprattutto le relazioni sociali che strutturano l’ordine sociale. È quindi in tensione con il diritto antidiscriminatorio, che mobilita e naturalizza le categorizzazioni sociali assegnate dalla prospettiva di un approccio individuale ai diritti. Oltre alla difficoltà di tenere conto di questo approccio da parte della legge in Nord America e in Europa, in Francia esiste una tensione intorno al concetto di intersezionalità.

Al fine di lavorare sui meccanismi sistemici in atto, la città ha portato le scuole, gli e le insegnanti e le associazioni di sostegno al tavolo per trovare un accordo sul problema. “C’è una negazione nell’istituzione e una tendenza a considerare che sia la mancanza di ambizione dei genitori a produrre questo orientamento”, dice Marie-Christine Cerrato-Debenedetti. La missione ha comunque formato 200 persone sull’argomento. Ha inoltre organizzato l’osservazione da parte di insegnanti e dirigenti scolastici dei colloqui di orientamento di fine terzo anno che avvengono tra genitori, consulenti di orientamento e l’insegnante principale. “Gli e le insegnanti hanno misurato il tempo del colloquio e le interazioni. È emerso che quando il genitore non parla francese o il bambino ha esigenze particolari, il colloquio è molto più breve”, osserva il direttore della missione. Cioé proprio in quei casi in cui sarebbe necessario utilizzare un interprete o dedicare più tempo.

In tutto hanno partecipato sei delle nove scuole secondarie di primo grado della città, coinvolgendo una ventina di dirigenti, una trentina di assistenti sociali e operatori e operatrici scolastici, un centinaio di insegnanti e genitori. Il tutto per un budget di 220.000 euro, metà a carico dell’Injep (Istituto nazionale per la gioventù e l’educazione popolare), metà a carico del Comune, per un periodo di tre anni e mezzo, tra il 2019 e il 2022.

Una rete nazionale

In questo modo, sarà forse possibile, a livello locale, “cogliere i cambiamenti”, afferma Marie-Christine Cerrato-Debenedetti. Ma il suo obiettivo principale è quello di diffondere le osservazioni a livello nazionale.

La città applica questa politica antidiscriminatoria a se stessa. È stato deciso di estendere il piano d’azione sulla parità professionale tra donne e uomini a tutte le forme di discriminazione. Invece di offrire coaching per le donne manager, la città si è concentrata sulle carriere nel settore amministrativo. “Ci siamo resi conto che le agenti di categoria C [che raggruppa i lavori meno qualificati] nel settore amministrativo potevano rimanere bloccate nella loro carriera per anni a causa dei rapporti di promozione, che erano del 50%”, spiega la sociologa. Nel 2021, questo rapporto è stato portato al 100% per un periodo di tre anni, al fine di sbloccare le carriere di queste agenti.

Anche altre città si sono recentemente mobilitate (o ri-mobilitate) sulla discriminazione, concentrandosi sulla loro articolazione, come Grenoble, Strasburgo, Aubervilliers, Nantes e Bordeaux. Lo scorso giugno è stato lanciato un gruppo di lavoro all’interno di France Urbaine, l’associazione che riunisce metropoli, comunità urbane, comunità di agglomerati e grandi città.

A Strasburgo, la città ha reso permanente il suo spazio per l’uguaglianza, “un centro di attività situato in una scuola dove facciamo prevenzione della discriminazione, soprattutto per gli e le studenti”, spiega la responsabile del progetto Emilie Jung.

La metropoli di Grenoble ha adottato il modello di Villeurbanne, affidandosi a una rete locale di strutture intermedie. Offre ricevimenti e consulenze legali con avvocati del foro di Grenoble una volta al mese presso l’ufficio di quartiere e un’unità di monitoraggio trasversale. “Siamo anche in rete con associazioni partner per le questioni LGBT, la disabilità e i diritti dei richiedenti asilo”, spiega Sophie Ebermeyer, responsabile per l’uguaglianza e la lotta alla discriminazione. Come a Villeurbanne, la missione lavora in collaborazione con i delegati del Difensore dei diritti. Tra gli uffici e le consulenze legali, ogni anno vengono esaminati circa sessanta casi. La metropoli vi dedica 40.000 euro e un membro del personale permanente. “Queste città sono tra le uniche ad aver aperto uno spazio in cui la questione della discriminazione etno-razziale e religiosa può essere affrontata, possibilmente all’incrocio con altri criteri (genere, quartiere di residenza)”, osserva il ricercatore Thomas Kirszbaum.

Delimitazioni

Resta il fatto che quasi ovunque l’azione pubblica è organizzata in silos, con la parità di genere da un lato, che è ora oggetto di una politica proattiva a livello nazionale, e la lotta alla discriminazione dall’altro, che non ha più alcun sostegno nazionale. A causa di questo effetto strutturale, tenere conto dell’intreccio di discriminazioni è una sfida. E a livello giudiziario, “il fatto di invocare diversi motivi di discriminazione indebolisce la prova”, afferma la sociologa Evelyne Serverin.

Inoltre, in Francia, la questione della lotta alla discriminazione si è tripartita a partire dagli anni 2000, ricorda Thomas Kirszbaum. È limitata alla politica urbana, al criterio dell’origine e alla questione dell’accesso al lavoro.

Nel 2005, la creazione dell’HALDE (Alta Autorità per la lotta contro la discriminazione e per l’uguaglianza), precursore del Défenseur des droits (Difensore dei diritti), ha segnato la scelta di un approccio multicriterio. “Il criterio etno-razziale è stato diluito in una serie di criteri che vanno dall’attività sindacale allo stato di gravidanza”, sottolinea Thomas Kirszbaum. Allo stesso tempo, le aziende francesi hanno iniziato a promuovere la diversità. Questo era un altro modo per evitare le questioni controverse.

In risposta alla stigmatizzazione degli stranieri che ha caratterizzato la seconda parte del mandato di Nicolas Sarkozy (2007-2012), le autorità locali gestite dai socialisti hanno affrontato il tema della discriminazione, in particolare all’interno di un gruppo di lavoro dell’Inter-Réseaux des professionnels du Développement Social et Urbain (IRDSU), che riunisce i professionisti della politica urbana. “Tra il 2009 e il 2016 c’era dinamismo su questi temi”, ricorda Sophie Ebermeyer a Grenoble. Gli attentati del 2015 e la successiva promozione della “sicurezza, del secolarismo (laïcité) e della lotta all’odio” hanno contribuito a cancellare questo slancio, ha osservato il Difensore dei diritti in un rapporto del 2020. Oggi “lo Stato sta scaricando a livello locale un problema che è di natura nazionale”, analizza Jaoued Doudouh, del Coordinamento nazionale Pas Sans Nous, che rappresenta la voce degli abitanti dei quartieri popolari.

Le azioni rimangono insufficienti rispetto alle esigenze. “Come servizio, la missione dell’uguaglianza e della lotta contro la discriminazione non è sufficientemente sostenuta”, afferma Angélica Espinosa, del Planning Familial 38 (una rete nazionale di consultori, ndt). “A livello locale, a Grenoble, la risposta è tecnica, mentre il territorio è un organismo vivente che deve essere stimolato. Siamo aperti alla buona volontà, ma non veniamo interpellati”, spiega Jaoued Doudouh.

La lotta contro le discriminazioni, in tutta la loro complessità e nei loro intrecci, è ancora portata avanti da dipartimenti marginali nelle amministrazioni e da rappresentanti marginali tra gli e le eletti/e. A livello locale, queste politiche offrono spazi preziosi a chi subisce discriminazioni, ma senza produrre grandi effetti al di là delle singole situazioni.

(Traduzione in italiano a cura di Roberta Zambelli)