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Different Is A Beautiful Word, Milena Filipova |TheGreats.co (CC-BY-NC-SA).

di Camila Piastro, Intersectional Action Officer, CEJI. A Jewish Contribution to an inclusive Europe

Articolo originale: CEJI Deep Dives: Invisible Others and Intersectional Equality Data

Il nostro mondo è pensato da e per uomini cis-gender, eterosessuali, bianchi e con nessuna disabilità. Il nostro mondo è pieno del silenzio delle esperienze invisibili e di informazioni mancanti che hanno pesantemente modellato il nostro modo di pensare e vivere. Quando le esperienze delle persone razzializzate sono così poco raccontate è difficile trovare risorse adeguate per affrontare il problema del razzismo strutturale. Nel suo libro Invisible Women, Caroline Criado Perez sostiene che l’invisibilità non è solo una questione di numeri. I dati disaggregati hanno il potere di rivelare le esperienze di discriminazione subite da molte persone e, in particolare, si osserva come la mancanza di dati sulla parità abbia un impatto reale sulla vita quotidiana delle minoranze e delle persone razzializzate in Europa.

Alla luce dell’indagine sulle esperienze di antisemitismo vissute dalle comunità ebraiche in Europa che saranno oggetto di una ricerca dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali prevista per il 2023, nel contesto di un continente colpito da diverse crisi che accentuano le disuguaglianze esistenti, il nostro compito come organizzazioni della società civile è quello di continuare a sensibilizzare l’opinione pubblica su questioni non adeguatamente segnalate che tuttavia continuano a essere rilevanti per le nostre società, e in particolare, per le comunità ebraiche in Europa. Oggi le informazioni sugli episodi di antisemitismo con componenti legate al genere, alla discriminazione degli ebrei di colore, sui casi di discorsi d’odio e crimini d’odio contro gli ebrei della comunità LGBTQIA+ e sugli ebrei con disabilità sono quasi inesistenti in Europa. Gli “altri invisibili” – comunità razzializzate vittime di discriminazioni intersezionali – devono diventare visibili e contare. 

Questo articolo intende far luce sul quadro esistente e sulle sfide attuali della raccolta dei dati sulla parità e sulle comunità ebraiche in Europa. Affrontare il problema della mancanza di dati intersezionali può infatti contribuire a migliorare radicalmente il processo di elaborazione delle politiche, valutare l’effettiva attuazione dei piani d’azione nazionali contro l’antisemitismo e sostenere gli attori che lavorano in Europa sulla discriminazione strutturale.

La raccolta di dati disaggregati rappresenta una sfida per ricercatori, rappresentanti politici e organizzazioni della società civile. In Europa, la raccolta di dati disaggregati per caratteristiche personali – come l’origine razziale o etnica – è protetta da norme costituzionali, dal regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR), dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dal Piano d’azione dell’UE contro il razzismo 2020-2025. Quest’ultimo rappresenta un precedente importante rispetto alle linee guida per la raccolta dei “dati giusti per prendere le giuste decisioni politiche”. Tuttavia, molti Stati membri e altri attori continuano a interpretare erroneamente il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’UE come un divieto assoluto di raccolta di dati relativi alla parità basati sull’origine razziale o etnica. L’articolo 9 del GDPR elenca in modo specifico le condizioni in cui la raccolta dei dati è consentita: a) in presenza di un consenso esplicito da parte dell’interessato al trattamento dei dati, b) per motivi di interesse pubblico sulla base del diritto dell’UE o nazionale, e c) per scopi di archiviazione, ricerca scientifica, storica e statistica sulla base del diritto dell’UE o nazionale.

È in questo contesto di rispetto dei principi chiave della protezione dei dati e dei diritti fondamentali che dobbiamo promuovere la raccolta di dati relativi alla parità. Gli Stati membri dovrebbero rafforzare la collaborazione tra gli uffici statistici nazionali e gli uffici per la protezione dei dati per garantire i requisiti del regolamento GDPR e il rispetto della legislazione nazionale, garantendo al contempo la raccolta dei dati mancanti relativi all’origine razziale o etnica attraverso la partecipazione volontaria, l’anonimato, la riservatezza, l’auto-identificazione e il consenso informato. Tuttavia, progressi significativi richiederanno anche sforzi congiunti per adottare una disposizione obbligatoria per la raccolta dei dati relativi all’origine etnica e razziale nel quadro della Direttiva dell’UE sulla parità e l’attuazione di una procedura di infrazione nei casi in cui gli Stati membri interpretano erroneamente il GDPR come un divieto assoluto per la raccolta di tali informazioni.

Nei casi in cui non sia possibile raccogliere dati relativi alla parità basati sull’origine etnica e razziale secondo il principio dell’autoidentificazione, si dovrebbero prendere in considerazione altre variabili in grado di fornire le informazioni mancanti: il paese d’origine, la nazionalità o il colore della pelle sono, ad esempio, variabili spesso correlate con l’origine etnica o razziale. Tuttavia, ad esempio nel caso delle persone ebree, il paese d’origine, la nazionalità o il colore della pelle non sono sempre indicativi del fatto che una persona si identifichi o meno come ebrea. L’uso di queste variabili alternative potrebbe dunque non essere sempre adatto per osservare e definire le due dimensioni che andrebbero approfondite, ovvero la “razza*” e l’origine etnica. Talvolta però queste informazioni sono l’unico modo per poter indagare la realtà delle minoranze in Europa. In questi casi, i responsabili per la raccolta dei dati e dei rapporti di ricerca dovrebbero essere il più trasparenti possibile e tali informazioni pubblicamente accessibili.

Secondo la Strategia dell’UE per la lotta all’antisemitismo e la promozione della vita ebraica, “i dati sulla parità relativi alle persone ebree sono relativamente scarsi a causa della delicatezza della raccolta di dati basati sull’origine razziale o etnica, sulla religione o sulle convinzioni personali, e perché gli ebrei Europei sono un gruppo piuttosto piccolo, il che comporta una minore disponibilità di dati aggregati provenienti da indagini più ampie”. In effetti, la raccolta di dati sulla popolazione ebraica in Europa, così come su altre minoranze razziali ed etniche, rimane un argomento delicato. Rapporti come Young Jewish European: perceptions and experiences of antisemitism e Discrimination and Hate crime against Jews in EU member states hanno notevolmente aiutato la comprensione delle esperienze di antisemitismo tra gli ebrei europei e contribuito a far progredire gli sforzi di advocacy. Dobbiamo usare queste indagini come punti di riferimento per un lavoro più approfondito su questi temi.

I dati raccolti nei rapporti sopra citati sono disaggregati per età, attaccamento all’ebraismo, alla nazione, europeo, e attaccamento verso Israele, luogo di nascita, affiliazione, religiosità e livello d’istruzione, tra gli altri aspetti. Tuttavia, altre informazioni non vengono disaggregate rispetto ad altre variabili sensibili. Nel secondo rapporto viene prestata attenzione alle esperienze complessive di discriminazioni, chiedendo agli intervistati di considerare le loro esperienze discriminatorie negli ultimi 12 mesi in base al colore della pelle, al sesso, all’orientamento sessuale, all’età, alla religione, alle convinzioni personali, alla disabilità o all’identità di genere. Agli intervistati è stato anche chiesto se queste esperienze fossero legate al fatto di essere ebrei. Il 39% degli intervistati ha risposto di essersi sentito discriminato per uno o più dei motivi sopra citati. Il 29% ha citato due motivi di discriminazione e il 23% tre o più motivi di discriminazione, il che potrebbe indicare che le persone sono state discriminate sulla base di diversi motivi allo stesso tempo (discriminazione intersezionale) o che le persone hanno subito discriminazioni per motivi distinti in occasioni diverse (discriminazione additiva). In ogni caso, si dovrebbe prestare maggiore attenzione a questo 39%.

L’assenza di un’analisi più approfondita dei dati disaggregati per genere, origine etnica e della diaspora, disabilità e orientamento sessuale rappresenta una sfida per la comunità e per la politica nel valutare la portata delle forme intersezionali di antisemitismo e discriminazione. Senza queste informazioni, mancano i dati necessari per comprendere appieno come l’antisemitismo e la discriminazione si manifestano nelle nostre società. C’è una mancanza di un linguaggio univoco che complica la sfida di affrontare l’intersezionalità in relazione alle comunità ebraiche in Europa. Come concettualizziamo le persone ebree di colore nel contesto europeo? Quali sono le diverse origini della diaspora che dovrebbero essere incluse nei dati relativi alla parità e come? La risposta a queste domande condizionerà profondamente la nostra capacità di affrontare l’impatto della ashkenormativity – ovvero partire dal presupposto che tutti gli ebrei siano ashkenaziti, dunque ebrei provenienti dalla Germania e dalla Francia, senza considerare gli ebrei di altre origini – sulla percezione stereotipata degli ebrei che alimenta le narrazioni antisemite e sull’esperienza degli ebrei di colore dentro e fuori il mondo ebraico.

Esiste un linguaggio più standardizzato per quanto riguarda l’orientamento sessuale, il genere e la disabilità, ma anche questi concetti meritano un’analisi simile in relazione all’identità ebraica.  A questo proposito, le future ricerche e i dati raccolti sulla popolazione ebraica dovrebbero sviluppare un linguaggio coerente e adottare un approccio uniforme che includa domande sulla ‘razza’ auto-identificata, quella percepita, sulle origini geografiche e della diaspora per raccogliere informazioni complete sulle esperienze degli ebrei di colore e sull’esperienza nella diaspora, in aggiunta ad altri dati sensibili.

In un contesto in cui la promozione di un quadro europeo sull’intersezionalità è fondamentale per affrontare la discriminazione e promuovere l’uguaglianza, è necessario concentrarsi maggiormente sulle diverse esperienze vissute dalla popolazione ebraica europea. Dobbiamo formare le comunità, le parti interessate e le autorità a identificare, segnalare, raccogliere e analizzare la discriminazione intersezionale in relazione all’antisemitismo. I dati sulla parità raccolti da indagini come quelle dall’ Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali sulle esperienze di antisemitismo dovrebbero fornire una panoramica più ampia degli episodi intersezionali di discriminazione, senza sottovalutare la diversità del popolo ebraico in Europa. Poiché la diversità all’interno della nostra comunità è la nostra forza, solo se la accogliamo garantiremo un trattamento equo per tutti.

* Quando si parla di discriminazioni, riteniamo importante mantenere il motivo della “razza” per garantire che tutte le persone che sono generalmente ed erroneamente percepite come appartenenti a “un’altra razza” non siano escluse dalla protezione prevista dalla legge e da altri standard. Questo approccio è coerente con i principali trattati internazionali sui diritti umani. I riferimenti alla “razza” non corrispondono a nessuna caratteristica biologica personale. Si veda ECRI, European Commission on Racism and Intolerance 2021.

 Traduzione a cura di Serena Epis.